lunedì 19 maggio 2014

Recensione a "Selvaggia" di Giovanni Garufi Bozza.

È un romanzo che si lascia ricordare dolcemente, questo che segna l’esordio di Giovanni Garufi Bozza. Non uno di quelli che colpiscono come un pugno allo stomaco, o che ti rimangono dentro come una cicatrice, ma comunque uno di quelli che non si fanno dimenticare tanto in fretta. Tutto merito della trama che, incalzante, prosegue senza sosta in questa analisi millimetrica della psiche contorta della protagonista, Martina, e del suo confidente Daniel. Dopo essersi conosciuti alla facoltà di Psicologia, infatti, il ragazzo rimane affascinato dall’algida bellezza di questa biondina che sembra non concedere contatti sociali e umani a nessuno. Trovandosi dopo qualche sera in un locale dark con amici, Daniel conosce per caso una conturbante e libertina brunetta, Selvaggia, la quale tiene un blog di poesie su internet nel quale dà sfogo a tutti i suoi tormenti interiori. È proprio grazie a questo blog che Daniel scopre la sconcertante verità che tiene in piedi poi tutte le fila del romanzo: Martina, il pezzo di ghiaccio, e Selvaggia, la focosa ragazza dark, sono la stessa persona. Qui inizia il conflitto interiore del ragazzo che da una parte è innamorato di Martina e di Selvaggia in ugual misura, dall’altra cerca in tutti i modi di capire dove finisca l’una e inizi l’altra, quale sia il meccanismo che fa scattare in Martina la necessità di travestirsi e diventare un’altra persona per sentirsi accettata e libera. Ciò che fa scervellare Daniel e il lettore stesso, sono i caratteri e gli aspetti diametralmente opposti delle due entità, lo Yin e lo Yang, il bianco e il nero, il ghiaccio e il fuoco, che sembrano coabitare nel medesimo corpo. La prova d’amore a cui Daniel è chiamato sta nel capire quale delle due sia la vera Martina e se ciò che la affligge sia un serio caso di sdoppiamento di personalità oppure semplicemente una maschera necessaria a nascondere un’eccessiva paura a lasciarsi andare, a lasciarsi scoprire.
Le psichi dei protagonisti vengono sondate a fondo durante lo svolgimento della trama e non c’è aspetto di esse che non sia indagato a dovere, con il pregio di non scadere mai nelle banalità o nei luoghi comuni.
Gli aspetti negativi che ho ritrovato sono un paio: il primo è una digressione piuttosto prolissa in cui l'autore si prodiga a descrivere la morte di Papa Giovanni Paolo II che, ipotizzo, forse per Garufi Bozza ha avuto un impatto molto emotivo nella vita reale ma che ha ben poco a che spartire con la trama del romanzo e distoglie l'attenzione per troppe pagine dalla storia dei protagonisti; il secondo è l'eccessiva classicità della stesura, specialmente nei dialoghi. Il registro didascalico e i continui “disse lui”, “rispose lei”, “esclamò lui”, “sentenziò lei” danno un’aria un po’ troppo stucchevole alla narrazione, senza tuttavia intaccare la correttezza sintattica e grammaticale ineccepibili.


Sergio Boffetti

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