È
un romanzo che si lascia ricordare dolcemente, questo che segna
l’esordio di Giovanni Garufi Bozza. Non uno di quelli che
colpiscono come un pugno allo stomaco, o che ti rimangono dentro come
una cicatrice, ma comunque uno di quelli che non si fanno dimenticare
tanto in fretta. Tutto merito della trama che, incalzante, prosegue
senza sosta in questa analisi millimetrica della psiche contorta
della protagonista, Martina, e del suo confidente Daniel. Dopo
essersi conosciuti alla facoltà di Psicologia, infatti, il ragazzo
rimane affascinato dall’algida bellezza di questa biondina che
sembra non concedere contatti sociali e umani a nessuno. Trovandosi
dopo qualche sera in un locale dark con amici, Daniel conosce per
caso una conturbante e libertina brunetta, Selvaggia, la quale tiene
un blog di poesie su internet nel quale dà sfogo a tutti i suoi
tormenti interiori. È proprio grazie a questo blog che Daniel scopre
la sconcertante verità che tiene in piedi poi tutte le fila del
romanzo: Martina, il pezzo di ghiaccio, e Selvaggia, la focosa
ragazza dark, sono la stessa persona. Qui inizia il conflitto
interiore del ragazzo che da una parte è innamorato di Martina e di
Selvaggia in ugual misura, dall’altra cerca in tutti i modi di
capire dove finisca l’una e inizi l’altra, quale sia il
meccanismo che fa scattare in Martina la necessità di travestirsi e
diventare un’altra persona per sentirsi accettata e libera. Ciò
che fa scervellare Daniel e il lettore stesso, sono i caratteri e gli
aspetti diametralmente opposti delle due entità, lo Yin e lo Yang,
il bianco e il nero, il ghiaccio e il fuoco, che sembrano coabitare
nel medesimo corpo. La prova d’amore a cui Daniel è chiamato sta
nel capire quale delle due sia la vera Martina e se ciò che la
affligge sia un serio caso di sdoppiamento di personalità oppure
semplicemente una maschera necessaria a nascondere un’eccessiva
paura a lasciarsi andare, a lasciarsi scoprire.
Le
psichi dei protagonisti vengono sondate a fondo durante lo
svolgimento della trama e non c’è aspetto di esse che non sia
indagato a dovere, con il pregio di non scadere mai nelle banalità o
nei luoghi comuni.
Gli
aspetti negativi che ho ritrovato sono un paio: il primo è una
digressione piuttosto prolissa in cui l'autore si prodiga a
descrivere la morte di Papa Giovanni Paolo II che, ipotizzo, forse
per Garufi Bozza ha avuto un impatto molto emotivo nella vita reale
ma che ha ben poco a che spartire con la trama del romanzo e
distoglie l'attenzione per troppe pagine dalla storia dei
protagonisti; il secondo è l'eccessiva classicità della stesura,
specialmente nei dialoghi. Il registro didascalico e i continui
“disse lui”, “rispose lei”, “esclamò lui”, “sentenziò
lei” danno un’aria un po’ troppo stucchevole alla narrazione,
senza tuttavia intaccare la correttezza sintattica e grammaticale
ineccepibili.
Sergio
Boffetti
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